La provocazione Gentile
Si può dire che l’intera esistenza di Domenico Gentile sia un’opera di sottile diplomazia psicologica volta a conciliare gli eventi. Fu così quando, innamorato della pittura, dovette coltivare la sua passione parallelamente agli studi di medicina o quando, per motivi di lavoro lasciò il mare e il sole di Salerno, sua città Natale, per approdare ad Asola, che pure entrò nel suo cuore, oltre che nelle sue opere. Ma la pacificazione più profonda Domenico la operò nei confronti della pittura, riuscendo a far convivere nelle proprie opere posizioni che all’epoca parevano inconciliabili.
Realismo e astrazione erano per Gentile etichette pretestuose, limitanti, una sorta di “muro della vergogna”, una divisione tra due schieramenti che, paradossalmente, combattevano sotto la medesima bandiera: quella dell’arte. Senza proclami roboanti o azioni di forza, Domenico semplicemente ignorò quel muro, dimostrando quanta realtà vi fosse in un’opera astratta e quanta astrazione in una realistica. Le sue accumulazioni di oggetti i più disparati, barattoli, torce, funghi, zucche, danno l’idea di composizioni astratte e geometriche ma sono, di fatto, assemblaggi di oggetti reali. Di converso, nelle opere che Arianna Sartori ha acutamente selezionato per questa mostra: fabbriche, darsene, paesaggi urbani,
aleggiano reminiscenze, nostalgie, citazioni, che, come accade per le nature morte morandiane, vanno ben oltre la mera raffigurazione del soggetto.
In fondo, a ben guardare, anche queste opere sono costituite dagli stessi moduli compositivi, dagli stessi tasselli di colore che si ritrovano, rimescolati, nei quadri cosiddetti “astratti”. Se le darsene sono caratterizzate da tagli strettissimi che sembrano voler escludere la presenza del cielo e da porzioni di vele, prue di imbarcazioni stipati, quasi costretti, nello spazio della tela (e della memoria), le fabbriche e i cantieri ci riportano invece ad una dimensione sironiana, sdrammatizzata, ingentilita quasi, dall’uso del colore. Manca, in tutta la produzione di Gentile, la rappresentazione umana, ma non la presenza. Tutto ruota intorno ad una visione sociale di stampo umanistico. Gli oggetti reiterati, simili eppure diversi tra loro, altro non sono che la rappresentazione della società, la cui armonia si basa sulla valorizzazione delle diversità. Più intimo e poetico il rapporto con i paesaggi della memoria, che ci narrano di un mondo sospeso tra il ricordo e il sogno, stagliato contro il nero di una notte amica.
Carlo Micheli
Chi è Domenico Gentile
Domenico Gentile nasce a Salerno nel 1933 e della sua terra manterrà l’accento, l’amore per la luce e il colore, la vocazione a sdrammatizzare ogni accadimento, il fatalismo e, forse, un pizzico di superstizione. Per il resto sceglierà Mantova, per viverci, per lavorare, per radicarsi come uomo e come artista. Dopo gli studi universitari in medicina, i viaggi, la scena politica, i primi acquerelli, seguiti dalla pittura ad olio del paesaggio mediterraneo dell’infanzia. Il neorealismo, il realismo artistico, la ricerca instancabile di una pittura diversa dal decadentismo astratto e dalle idee degli informali.
La condivisione delle visioni dei suoi sommi sacerdoti: Guttuso, Vespignani, Purificato, Zancanaro.
Anni '60: Mantova, l'uomo e l'artista si compiono
Dal paesaggio materico al preludio delle geometrie quasi astratte che ritraggono fabbriche, cantieri e depositi, ridotti ad archeologia industriale disabitata avvolta da un cielo negato. È il preludio alla disgregazione della rappresentazione a favore di uno stile quasi attratto dai tagli ‘schiacciati’ che compongono paesaggi urbani e industriali come triangoli, rettangoli e cerchi, da cui paradossalmente emergono elementi antropomorfi. Con gli Anni ’70, il caos, l’equilibrio tra realismo e astrazione si riflettono nella poetica di Domenico che per qualche tempo è in equilibrio precario tra realismo ed astrazione. Poi, all’inizio degli anni ’80, l’artista si concentra sul particolare: bulloni, libri, monete, scatole, ingranaggi.
Elementi iterati all’infinito che sembrano moltiplicarsi e moltiplicarsi ancora.
Anni '80 - '90: l'evoluzione del colore, si accentua una personalissima rivisitazione del Futurismo
Dagli anni '80 si accentua la personalissima rivisitazione del Futurismo, i colori iniziano a incupirsi, gli oggetti cercano uno spazio autonomo come espressione di una vibrazione interiore più intima. Nell’ultimo periodo le sfocature prendono forma, i colori da accesi diventano naturali, raccontando una sorta di emancipazione di ogni elemento dal tutto. Negli anni 90 poi, la componente ludica si fa manifesta e gli oggetti/soggetti dei dipinti appaiono stregati e irrequieti.
Negli ultimi anni poi, entrando nel terzo millennio, gli oggetti/personaggi di Gentile definiscono uno spazio più autonomo, un linguaggio più intimo, una vibrazione interiore. Le tessere del suo gigantesco puzzle paiono ribellarsi alla costrizione dell’incastro, rivendicando una propria autonomia espressiva. Ne deriva un'atmosfera a forte connotazione onirica, popolata da figure che agiscono in teatrini di carta della memoria.